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Il sindacalismo di base dopo lo sciopero del 18 marzo

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La buona riuscita dello sciopero indetto da alcuni sindacati di base lo scorso 18 marzoinduce ad alcune riflessioni.Innanzitutto c’è una volontà da parte di strati di lavoratori di uscire dal torpore in cui,per vari motivi,il mondo del lavoro è immerso da anni.Questo lo si è visto dalla adesione allo sciopero sia in settori pubblici come la scuola sia in settori privati come la logistica ma anche in alcune fabbriche appartenenti a settori colpiti dalla ristrutturazione.Significativo quanto avvenuto nello stabilimento Electrolux di Susegana nel trevigiano dove più di un centinaio di lavoratori a cavallo dei due turni ha incrociato le braccia stanchi di esere spostati di continuo di posto di lavoro e di orario pur di non assumere altro personale.Negli stabilimenti di questa multinazionale ,dopo un accordo stipulato tra governo ed Electrolux che dovrebbe garantire la produzione soltanto fino al 2017,si sta infatti attuando un supersfruttamento dei lavoratori così come avviene in altre multinazionali a partire da FIAT-Chrysler.
A questa volontà di rialzare la testa per chi ha un lavoro e per chi lo cerca occorre dare una prospettiva,di contenuti e di organizzzazione.
In tempi di vacche grasse,quando la produzione tirava,la lotta si concentrava nella redistribuzione della ricchezza prodotta,sia nelle fabbriche,sia nel pubblico impiego.La lunga crisi che ha sconvolto e modificato l’economia del paese e i processi di globalizzazione ci obbligano ad andare oltre le giuste richieste di salario,di diritti,di welfare perché quella che è stata definita deindustrializzazione venga combattuta e sconfitta.Non possiamo pensare che questo sia un problema che riguarda i gruppi finanziari-industriali ed il governo,è un problema che riguarda la popolazione,i giovani costretti ad emigrare.
Occorrerebbe perciò individuare precise richieste di investimenti privati e pubblici nell’industria,nella scuola,nel pubblico impiego,nell’agricoltura e costruire piattaforme complete di richieste sia salariali,sia di diritti,sia di prospettive per il settore.
Il problema delle guerre,giustamente posto accanto alle rivendicazioni nello sciopero,è l’altra faccia di una politica che mentre impoverisce i lavoratori all’interno continua a depredare i paesi meno sviluppati.Al contrario dobbiamo costruire accordi di collaborazione e di reciproco sviluppo tra le nostre aziende e quelle di questi paesi.
Al riguardo il presidente del consiglio ,che ha commentato con fastidio le motivazioni dello sciopero,dovrebbe invece mostrare prove concrete che dimostrino che la linea del governo è indipendente da volontà esterne e contraria ad interventi militari,perchè ad esempio non vieta l’utilizzo della base di Sigonella?
Oltre ai contenuti,l’organizzazione e la libertà sindacale.Fin dal referendum del 1995 che,con gravi responsabilità di parti della cosiddetta sinistra,abolì la clausola dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori che garantiva la rappresentatività sindacale indipendentemente dalla firma di contratti collettivi,la linea concordata tra sindacati confederali,Confindustria,governo e la cosiddetta sinistra,è stata quella di impedire che nascessero nei luoghi di lavoro sindacati alternativi da un lato e di limitare e possibilmente eliminare il diritto di sciopero.Ricordiamoci che già al loro nascere le Rappresentanze Sindacali Unitarie consentivano ai confederali ,comunque andassero le elezioni,il 33% dei componenti mentre nei precedenti Consigli di fabbrica o di istituto ogni singolo lavoratore poteva candidarsi indipendentemente dalla appartenenza o no ad un sindacato.
L’accordo del 10 gennaio 2014 che vede diversi atteggiamenti al riguardo tra alcuni sindacati di base,con i suoi contenuti peggiorativi,non fa altro che proseguire quella linea.
Questo richiederebbe una posizione unitaria di questi sindacati che dovrebbe essere la richiesta della cancellazione di quell’accordo da parte di CGIL-CISL-UIL ma,come abbiamo visto anche dall’elenco dei promotori dello sciopero del 18 marzo,questa posizione non c’è e,per chiarezza verso i lavoratori,occorre prenderne atto.
Costruire un sindacato di massa,che attiri la massa dei lavoratori,è un progetto molto impegnativo,che richiede anche da parte di chi dirige questi sindacati di base una visione nuova rispetto la passato.Per una serie di fattori storici e politici,tra cui grande importanza ha avuto la fine del maggior partito comunista d’Europa,si sono sviluppati nel tempo nel nostro paese movimenti e gruppi che hanno avuto contemporaneamente aspetti politici e aspetti sindacali.L’esperienza di questi anni ci dice che un sindacato,quale organismo di massa,deve essere visto come uno strumento proprio dei lavoratori e non come la proiezione di questa o quella posizione politica.Oggi,se si vuole dare vita ad un sindacato pienamente alternativo a CGIL-CISL-UIL,bisogna andare oltre quel modo di pensare e guardare all’interesse comune.

la redazione

Sostenere lo sciopero del 18 marzo

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Per unire le rivendicazioni dei lavoratori e le esigenze di vita della popolazione
Lo sciopero del 18 marzo indetto da parte dei sindacati di base che rifiutano l’accordo del 10 gennaio 2014 e non lo hanno firmato– Cub, Si-Cobas, Usi – vuole rivendicare lavoro stabile e diritti, opporsi alla guerra e raccordarsi alle realtà sociali che subiscono le restrizioni dei servizi e i tagli di bilancio.Il Testo unico sulla rappresentanza del 10 gennaio del 2014, sottoscritto da Confindustria e Cgil-Cisl-Uil e firmato anche da alcuni sindacati di base, impedisce ai lavoratori di difendersi e lottare contro accordi che non vogliono e ai sindacati che non firmano di presentarsi alle elezioni delle RSU.
In Italia il mercato del lavoro è sempre più precarizzato, con l’abolizione dell’art. 18 e il Job’s act i licenziamenti sono ormai facili. Fin dagli anni ’90 gli accordi tra Confindustria, governi di centro destra e di centrosinistra e sindacati confederali hanno bloccato i salari e abbassato le pensioni, ora anche dilazionate , a 58 anni scopri che devi lavorare altri 10 anni. La crisi è strutturale, i capitalisti e lo stato non investono e tolgono reddito e diritti ai lavoratori, aumenta la disuguaglianza sociale: 62 persone al mondo hanno metà della ricchezza mondiale, non è mai accaduto prima nella storia.
Mentre all’interno cresce l’impoverimento sociale progressivo vengono scatenate guerre coloniali per il dominio, con bombardamenti selvaggi e fame che provocano un genocidio; i popoli si trovano davanti al fatto compiuto. I nostri governanti hanno già di fatto portato l’Italia in guerra in Libia, seguendo questa rovinosa logica di rapina.
Il flusso di migranti fa comodo al padronato per abbassare il costo del lavoro e le garanzie sociali. Centinaia di migliaia di lavoratori sono espulsi dalla produzione. A Sesto s. Giovanni, storica base industriale ai confini di Milano, c’è la desertificazione, che riguarda non solo la Alstom ma centinaia di fabbriche e così è la situazione nel resto del paese; occorre organizzare non solo gli occupati più o meno precari ma anche chi è in cassa integrazione, in mobilità, sottoccupato, disoccupato per riappropriarsi di lavoro, salario, diritti.
Per diritti e tutele si è tornati a prima degli anni ’70, ora anche se sei un lavoratore “garantito” ti trovi con il contratto di solidarietà o la cassa integrazione. E’ sempre più difficile esercitare il diritto di sciopero. Nella realtà sociale la situazione è sempre più precaria.
Si sta attuando la distruzione della scuola pubblica,anche la proposta di introdurre l’alternanza scuola-lavoro ,a fronte della mancanza di una pèolitica industriale per il paese,rischia di illudere i giovani su un futuro di occupazione, la sanità pubblica è innanzitutto strumento di affari, nei contratti nazionali e aziendali si inserisce la sanità integrativa (che non hai più se perdi il lavoro) per smantellare quella pubblica.
L’edilizia pubblica viene venduta a privati o al 3°settore, c’è una campagna di criminalizzazione degli occupanti. A Milano dopo 30 anni di assegnazioni in deroga per alleviare le emergenze abitative ora si dilatano i tempi fra i bandi per le case popolari. Con la gestione della MM si fanno più sfratti che con l’Aler, si butta la gente sulla strada per mesi o anni smembrando le famiglie, anche con bambini e malati, con ripercussioni su lavoro, scuola, assistenza sociale. Con la “morosità incolpevole” si integra l’affitto dando soldi alla rendita (dal piano Lupi in poi) oppure si attua un “percorso di accompagnamento sociale” che dà soldi al 3°settore, invece di sostenere direttamente i lavoratori a basso reddito.
Occorre fare campagne di informazione su queste realtà, e mettere in comune le pratiche positive per contrastarle: scioperi reali e lotte sociali e contro la guerra. Non basta fare la lista di quanto ci tagliano il governo e il padronato ma è necessario provare a rilanciare lotte unitarie e favorire la ripresa dell’organizzazione popolare, lo sciopero del 18 è una tappa di un confronto.