La manovra del governo che colpisce lavoratori e pensionati e l’accordo tra CGIl-CISL-UIL e Confindustria

di Pasquale Felice

Qualcuno aveva già anticipato che l’accordo “unitario” interconfederale del 28 giugno, tra Confindustria e Sindacati, sviluppato sulle linee tracciate a Pomigliano e a Torino, era strettamente legato e collegato alla manovra finanziaria. Un accordo che si preoccupa soltanto che niente turbi le imprese ad adattarsi alle attuali condizioni del mercato e della concorrenza, che toglie ai lavoratori qualsiasi diritto, che dà ai Sindacati un proprio potere (tipico del sindacalismo all’americana) sganciando la rappresentatività, che consegna al padronato il potere di modificare l’organizzazione del lavoro, gli orari, l’intensità del lavoro secondo gli interessi di ogni singola azienda, riducendo il valore del contratto nazionale a vantaggio della contrattazione decentrata ed aziendale, il tutto in deroga allo stesso Ccnl.

Infatti, l’economista Mario Deaglio, valutando “l’attacco speculativo che coinvolge il debito pubblico italiano e la Borsa italiana”, che “potrebbe essere il culmine di uno scontro più vasto tra euro e dollaro”, su “La Stampa” del 12 luglio 2011, ha anticipato nelle grandi linee, quelle che potrebbero essere gli sviluppi dell’azione politica di governo e di opposizione, sotto la supervisione del Presidente della Repubblica, in una specie di governo tecnico sostenuto da un nuovo patto sociale, questo dovrebbe contenere “sacrifici paralleli per capitale e lavoro. I sacrifici per il capitale sarebbero rappresentati da una qualche forma di imposta patrimoniale. I sacrifici per il lavoro dall’attenuazione di alcune conquiste del passato nell’ambito dei contratti nazionali”.

La manovra finanziaria dovrebbe inoltre contenere “un programma di vendita, almeno parziale, di poste e ferrovie (due imprese pubbliche di grandi dimensioni che potrebbero avere motivi di interesse per i mercati), una vendita di oro, … e un inasprimento delle misure per la compressione del costo della politica”.

L’aggressione al nostro paese che impone di attuare politiche subalterne ad interessi stranieri, in particolare statunitensi, della grande finanza e industria, è in gran parte riuscita (dalla guerra alla Libia alla manovra finanziaria), soprattutto mettendo le mani in tasca ai pensionati e prelevando dai modesti risparmi degli italiani (trattati quali capitali da rendita finanziaria). In poche parole, dopo aver “terrorizzato” gli italiani di andare a finire come la Grecia, manovrano e impongono una “cura greca”, che la popolazione impaurita sembra accettare, non avendo questa una rappresentanza politica capace di tutelarla.

I settori operai, i lavoratori autonomi e i piccoli imprenditori (delle partite IVA e le cosiddette piccole medie imprese (PMI) italiane, che compongono il cosiddetto ceto medio produttivo, che hanno cercato di resistere in tutti questi anni al mercato globalista, devono cercare di unirsi ai settori precari e pensionati, per fronteggiare l’attacco al paese, al lavoro.

Le agenzie di rating, le banche, non hanno alcuna autorità di sentenziare sull’Italia e/o su altri paesi, come pure su importanti aziende strategiche italiane, queste non hanno alcuna credibilità dimostrando i fatti che le loro previsioni sono inaffidabili e ridicole (vedi crollo Parmalat, Enron, ecc…). Inoltre, ci sarebbe da chiedersi come mai la speculazione finanziaria colpisca l’Europa e non anche gli Stati Uniti, che hanno un debito pubblico ben più grave di quello italiano, nonché superiore a quello medio europeo. I richiami della Banca Centrale Europea o delle Banca d’Italia, non possono essere attendibili essendo le banche centrali nazionali, che controllano la BCE, partecipate e controllate da banche private e dal capitale finanziario di proprietà di ricchissimi banchieri, così come i ricatti della Banca Mondiale o il Fondo Monetario Internazionale, sotto controllo degli Stati Uniti.

L’Italia non è la Grecia, ma la cura e le conseguenze su pensioni, salari, tasse, compreso anche il saccheggio e la svendita di tutte le imprese pubbliche strategiche e di gran parte del demanio e del territorio, anche quello in cui vi figurano siti archeologici, così come sta accadendo in Grecia, non deve passare.

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